Il saggio affronta il rapporto fra attivismo e visione mitica della politica, quale presupposto su cui si basa l’ideologia fascista. Si tratta di un rapporto che in precedenza era stato avanzato da Sorel nel 1908, non senza essere presente nella riflessione del giurista tedesco Carl Schmitt nei primi anni Venti. L’ipotesi storiografica sviluppata nell’indagine del rapporto fra attivismo e mito politico è quella di individuare nel fa- scismo un modello di rivoluzione del tutto diverso da quello giacobino e hegelo-marxista. Quest’ultimo modello era fondato sulla convinzione dell’immanenza della contraddizione nella realtà storica (Hegel-Marx) e su una visione teleologica della storia (giacobinismo). La “terza via” fascista non si realizzava in una terza via alla realizzazione del Progresso, quanto nella negazione di qualsiasi filosofia della storia. Per il fascismo la storia era un processo “aperto”, in cui l’unica contraddizione ammessa era quella fra l’uomo e il mondo: il primo cercava di uniformare a sé il secondo, in uno scontro incessante che non aveva mai un approdo. Da qui, il ricorso fascista alla violenza, quale strumento adatto a sottomettere il mondo e a conferire alla storia un ritmo veloce a fronte del liberalismo, fondato sulla mediazione e il confronto.
The essay deals with the connection between activism and the mythical vision of politics as an assumption from which fascist ideology moves. It is a relationship that had previously been proposed by Sorel in 1908, and also present in the thinking of German jurist Carl Schmitt in the early 1920s. The historiographical hypothesis developed in the survey of the relationship between activism and political myth is that of recognizing in fascism a model of revolution completely different from the Jacobin and Hegel-Marxist one, the latter being grounded on the belief of the immanence of contradiction in historical reality (Hegel-Marx) and on a teleological view of history (Jacobinism). The fascist “third way” was not carried out in a third way to the achievement of Progress, but in the denial of any philosophy of history. According to fascism, history was an “open” process, in which the only conceivable contradiction was that between man and the world, the former trying to conform the latter to itself, in a continuous clash that never found a landing place. Hence the fascist resort to violence, as a tool to subdue the world and give history a fast pace, in contrast to liberalism, which is based on mediation and debate.